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    Covid-19, il virus che c’ha tolto pure il sonno

    La quarantena ha lasciato il segno. Non solo per l’uso delle mascherine. Se da un lato il confinamento è stato essenziale per ridurre il numero di contagi, dall’altro ha avuto un grande impatto (psicologico, economico e sociale) riducendo la qualità della vita delle persone e mettendone a rischio la salute psico-fisica.

    L’uomo è per natura un animale sociale ma oggi gli è stato imposto il distanziamento sociale.  Il diritto alla salute ha logorato il diritto alla cura della stessa. Cure, socialità scambi versati dentro i social sovraccaricati si emozioni spesso amplificate.

    Cambiamenti che hanno avuto ripercussioni nel suo essere.  Nicola Cellini del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova – in collaborazione con Giovanna Mioni dello stesso Dipartimento, Natale Canale del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Ateneo patavino e Sebastiano Costa del Dipartimento di Psicologia dell’Università della Campania – hanno analizzato la qualità del sonno in un campione di 1310 persone tra i 18 e 35 ponendo a confronto la settimana 17-23 marzo (la seconda di lockdown completo) e la prima di febbraio (dall’1 al 7, cioè sette giorni in cui non vi era alcun tipo di restrizione sul territorio italiano).

    I 1310 partecipanti (880 donne e 430 uomini), di un’età media di 23.91 anni con un delta di ±3.60, sono stati divisi in due sotto-campioni: 809 di studenti universitari (565 donne e 244 uomini con età media di 22.6 anni ±2.53) e 501 lavoratori (315 donne e 186 uomini, età media 26.0±4.06).

    Lo studio è stato condotto tra il 24 e il 28 marzo attraverso questionari in cui si chiedeva ai soggetti di descrivere l’orario medio in cui andavano a letto e di quando si svegliavano, la loro difficoltà ad addormentarsi, quanto il loro sonno era percepito come riposante. Inoltre sono state fatte domande sull’uso della tecnologia prima di andare a dormire e sulla loro percezione dello scorrere del tempo (ad esempio: quanto spesso confondi il giorno del mese e/o il giorno della settimana? Quanto spesso pensi che il tempo non stia passando?). L’obiettivo era quello di caratterizzare i cambiamenti di abitudine e la percezione dei propri ritmi durante la quarantena.

    Dallo studio pubblicato sulla rivista ufficiale della European Sleep Research Society, il “Journal of Sleep Research Research”, con il titolo “Changes in sleep pattern, sense of time, and digital media use during COVID-19 lockdown in Italy” dal team di ricerca padovano è emerso che la ridotta attività fisica e la scarsa esposizione alla luce solare, l’assenza di attività sociali, le paure per il contagio e per la situazione economica, il cambiamento di vita familiare hanno portato a un peggioramento della qualità del sonno, un netto cambiamento nei ritmi sonno-veglia, un incremento nell’uso dei media digitali e a una distorta percezione del tempo che scorre.

    «Già dai primi giorni di lockdown risultava evidente dai commenti sui principali social come le persone lamentassero difficoltà legate al sonno e avessero problemi a tenere traccia del tempo che scorreva. In particolare molti si sono rifugiati nell’uso di piattaforme digitali come Social media, Youtube e Zoom – afferma Nicola Cellini -. Noi ci siamo chiesti prima di tutto quale fosse lo stato di salute mentale delle persone e se questo aumento di uso degli strumenti digitali, quasi obbligatori in assenza di contatti sociali fisici, potesse influenzare i nostri ritmi e la qualità del sonno. Lo studio ha messo in luce dati allarmanti sulla salute mentale: il 24.2% (24.95% dei lavoratori, 23.73% degli studenti) del nostro campione ha mostrato sintomi da moderati a estremamente severi di depressione, il 32.6% di ansia e uno su due (49.47% dei lavoratori, 51.6% degli studenti) sintomi di stress. Abbiamo inoltre evidenziato un grande cambiamento nel ritmo sonno-veglia: vi è un dato identico sull’orario in cui il campione va a dormire mentre si è registrato che i lavoratori si sono svegliati molto più tardi durante il lockdown – continua Nicola Cellini -. Infatti le persone hanno iniziato ad andare a letto circa 41 minuti dopo il consueto orario e a svegliarsi 54 minuti più tardi rispetto al periodo precedente alle restrizioni (i lavoratori si sono svegliati 1 ora e 13 minuti dopo mentre gli studenti solo 45 minuti).

    Non solo, nonostante le persone passassero più tempo a letto, la qualità del sonno è peggiorata: in particolare in persone con elevati sintomi di depressione, ansia e stress quelle con problemi del sonno è aumentata dal 40.5% al 52.4% (Studenti: da 41.53% a 53.15% – Lavoratori: 38.32% a 51.10%). Nonostante le persone utilizzassero maggiormente i media digitali nelle due ore prima di andare a dormire (14.8% in più), a differenza di quanto ipotizzato, questo uso della tecnologia non ha influenzato in maniera significativa il peggioramento della qualità del sonno, ma solo il tempo impiegato ad addormentarsi, e l’orario di letto e risveglio.

    Questo dato – dice Nicola Cellini – va interpretato nel contesto delle restrizioni nel quale, secondo noi, l’impatto della tecnologia sul sonno è stato secondario rispetto agli aspetti più psicologici legati a stress, ansia e fisiologici, come la riduzione di esposizione alla luce solare e delle attività fisiche. Paradossalmente in questa situazione di emergenza il supporto sociale fornito da questi media, generalmente nemici storici del sonno, può aver ridotto l’impatto psicofisiologico delle restrizioni perché social e media digitali tecnologici hanno mitigato gli effetti psicologici negativi. Per esemplificare, le chiamate Skype a fidanzati/e, amici, compagni/e prima di andare a letto hanno ridotto le distanze sociali e i commenti su Whatsapp, Facebook o Instagram possono aver alleggerito il clima di quarantena.

    Durante la quarantena – sottolinea Nicola Cellini – le persone hanno mostrato difficoltà nel tenere traccia del tempo (almeno 6 volte a settimana, mentre prima del confinamento la media era di 3 volte) confondendo spesso il giorno della settimana, del mese, o l’ora del giorno. Infine dalle risposte date dal campione è emerso la comune sensazione che il tempo fosse dilatato e non scorresse mai».

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