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    Una “Tempesta” connessa tra Castellammare del Golfo e New York, brucia la terra di Metteo

    Una “Tempesta” quella che si è abbattuta all’alba di questa mattina a Castellammare del Golfo e che ha portato all’arresto di 13 persone.Duecento i militari dell’Arma impegnati nell’operazione supportati da unità navali, aeree e reparti specializzati come lo Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia, e unità cinofile per la ricerca di armi. Dieci le persone che finiscono in carcere, tutte di Castellammare del Golfo a parte Francesco Virga, 50 anni di Trapani: Francesco Domingo, 64 anni; Rosario Antonino Di Stefano, 51 anni; Camillo Domingo, 63 anni; Daniele La Sala, 40 anni; Salvatore Mercadante, 35 anni; Maurizio Gaspare Mulè, 54 anni; Antonino Sabella, 63 anni; Francesco Sabile, 61 anni; Carlo Valenti, 42 anni. Sono state ristrette ai domiciliari, invece: Diego Angileri, 83 anni di Marsala, Felice Buccellato, 79 anni di Castellammare del Golfo e Sebastiano Stabile, 73 anni di Castellammare del Golfo. Il provvedimento era diretto anche a Benedetto Sottile, morto nel 2018 a 72 anni. Altre 11 persone sono state denunciate a piede libero e decine di perquisizioni.

    Tra questi, i Carabinieri, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia, stanno perquisendo anche l’abitazione e l’ufficio del Sindaco del Comune di Castellammare del Golfo, Nicola Rizzo, il quale è stato destinatario di informazione di garanzia e invito a rendere interrogatorio innanzi all’Autorità Giudiziaria.

    E’ inoltre indagato anche un ex consigliere comunale di Castellamare del Golfo che aveva chiesto a Domingo di attivarsi per il recupero di un mezzo agricolo che gli era stato rubato, nonché un avvocato, ex consigliere Comunale di Trapani, che aveva concorso con Domingo e Virga Francesco nella estorsione ad un imprenditore agricolo.

    “Tempesta” è anche, e soprattutto, il soprannome dato a Francesco Domingo, già condannato a 19 anni di carcere per associazione mafiosa ed altro e ritornato in libertà nel marzo del 2015. Proprio lui, Domingo, dopo la prima guerra di mafia che vide la supremazia dei corleonesi, della famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo, aggregata a quella di Alcamo, ricostituita nel 1993, era stato eletto alla reggenza ereditatagli da Gioacchino Calabrò, dal 1997 fino al 2004, continuando ad esercitare, per alcuni anni, il suo potere anche dall’interno del carcere. Vecchia guardia della mafia che intratteneva i rapporti oltreoceano.

    Da Castellammare del Golfo fino a New York dove stretti sono i legami con i cugini Bonanno. Con loro, una volta residenti a Castellammare, gli accordi della provincia trapanese si legano al boss Matteo Messina Denaro, ancora latitante, con sodalizi stretti e controllati dal vecchio padrino, Francesco Domingo, 64 anni, conosciuto, appunto, come “Tempesta”, capace di organizzare incontri fra Gaspare Spatuzza e Matteo Messina Denaro, all’epoca entrambi latitanti, in cui erano state assunte le decisioni sulla custodia delle armi a disposizione delle famiglie mafiose del trapanese.

    «Numerose sono state infatti le visite, intercettate dalle microspie e telecamere dei carabinieri, di esponenti mafiosi della famiglia italo-americana Bonanno di New York che aggiornavano il capo mafia castellammarese delle dinamiche e degli equilibri di Cosa Nostra oltreoceano», dicono gli inquirenti. E dall’America i boss «chiedevano anche a Domingo l’autorizzazione per interloquire con altri esponenti del mandamento di Alcamo, peroravano le cause di conoscenti in patria, nonché veicolavano messaggi tra Domingo e i sodali in America».  Non è tutto. I Carabinieri del Nucleo investigativo guidati dal tenente colonnello Antonio Merola spiegano che:«proprio con riferimento ai rapporti con Cosa Nostra statunitense Domingo incontrava, riservatamente nell’estate del 2018, anche il boss di Sciacca (Agrigento) Accursio Dimino, poi arrestato nel novembre dello scorso anno, e successivamente i suoi emissari».

    Intensissimi viaggi, interessi su affari sporchi legati a droga, armi, gioco non passano inosservati ai carabinieri del nucleo investigativo di Trapani che, coordinati dal procuratore Francesco Lo Voi, dal Procuratore Aggiunto Paolo Guido e dai Sostituti Procuratori Gianluca De Leo e Francesca Dessì iniziano ad investigare sul business che, dall’Italia agli Stati Uniti, seguiva una sola sporca rotta. Due anni di intercettazioni, dati incrociati, numeri di conti, traffico d’armi, che li portano al blitz scattato oggi con il nome di “Cotrana”.

    Inchiesta che dimostra come Domingo, nonostante la lunga pena detentiva scontata in carcere, riassumesse il ruolo indiscusso di capo famiglia riconosciuto all’interno di Cosa Nostra. Veniva infatti interessato da Francesco Virga, vertice del mandamento mafioso di Trapani, arrestato nell’operazione Scrigno e oggi raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa ed estorsione, per costringere,  Diego Angileri, un imprenditore agricolo castellammarese, a cedere un vasto appezzamento di terreno che conduceva nelle contrade di Marsala.

    La famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo restava molto attiva anche nel territorio di competenza acquisendo la gestione diretta e indiretta ed il controllo delle attività economiche, con atti intimidatori.  Domingo Camillo, Mercadante Salvatore, Stabile Sebastiano e Valenti Carlo, venivano ustai per i cosiddetti delitti-scopo dell’associazione. Ne è un esempio la commissione di numerose estorsioni nei confronti soprattutto di imprenditori agricoli ed edili che costringevano, mediate minaccia o violenza, a versare somme di denaro destinate al soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze dell’organizzazione mafiosa.

    Ma Domingo era, come nelle migliori tradizioni mafiose, il referente degli affiliati per la risoluzione delle controversie interne alla stessa famiglia. Accadeva così che il capomafia interveniva nel corso di una tentata estorsione perpetrata dall’arrestato Mule’ Gaspare Maurizio, affiliato vicino alla fazione opposta al Domingo, nei confronti di un imprenditore di Castellammare del Golfo dal quale pretendeva la somma di 3.000 euro come risarcimento per un licenziamento.

    Ancora il Domingo veniva interessato per il recupero di mezzi agricoli rubati ai danni di imprenditori agricoli della zona o per l’affidamento di lavori privati ad imprese vicine alla famiglia che così potevano foraggiare la cassa comune e provvedeva al sostentamento degli affiliati detenuti.

     

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