Ha 46 anni la donna, che oggi, ha tentato di introdurre, con un accappatoio, della droga all’interno del carcere “Pietro Cerulli” di Trapani. L’audacia della donna, di nazionalità rumena, però, è stata subito bloccata all’ingresso della sala colloqui.
Il pacco dove la quarantaseienne aveva confezionato l’accappatoio, infatti, è stato ispezionato ai controlli del settore colloqui e, al tatto, proprio da un primo sfregamento delle mani, i rigonfiamenti ai bordi delle cuciture delle maniche e della cintura dell’accappatoio, destinato al convivente che stava andando a trovare, hanno destato i sospetti della polizia penitenziaria.
L’esame a quel punto s’è fatto più scrupoloso e, tagliando le cuciture precedentemente imbastite con cura dalla donna, le guardie hanno scoperto delle dosi di hashish e cocaina, (così confermerà successivamente il drug test).
La donna è stata denunciata a piede libero per le modiche quantità che, fa sapere il capo della Polizia Penitenziaria, Giuseppe Romano, non è la prima volta che «familiari di detenuti tentano di introdurre, all’interno del carcere di Trapani». Non solo stupefacenti, ma anche telefonini, di piccolissime dimensioni, in modo da consentire alla popolazione detenuta di parlare con l’esterno e magari inviare “ordini” dal carcere. Ciò che sorprende ogni volta è l’ingegno, come quello della donna che ci ha provato con l’accappatoio, anche se tutte le volte si cerca sempre il modo più originale per far transitare la droga oltre le sbarre.
Lo stupefacente, in questo caso, sarebbe servito a soddisfare le esigente del convivente, mazarese di 44 anni, il quale «ha problemi legati alla tossicodipendenza e reati (come furti e rapine) inerenti al problema ma spesso l’hashish, la cocaina, o qualsiasi altro tipo di droga servono per lo spaccio tra i detenuti che ne fanno richiesta. Ciò va ad alterare gli equilibri già abbastanza labili che ci sono all’interno creando tensioni che a volte sfociano in risse che i poliziotti della penitenziaria devono cercare di placare per ristabilire la calma».
Relativamente poi al trasferire i telefonini all’interno della casa circondariale trapanese, più volte lo stesso Romano aveva rilasciato dichiarazioni in merito ai ritrovamenti nelle scarpe , negli scopini, o addirittura nel retto dei familiari (febbraio 2019). Da tempo, il Pietro Cerulli, come molti altre carceri, è dotato del sistema Manta Ray, un “mobile detector” in grado di rilevare la presenza di smartphone e altri telefonini di tutte le dimensioni presenti in una sala, all’interno di una borsa, un pacco o all’interno del corpo umano. Questo sistema rileva il telefono acceso o spento, con o senza batteria o sim ed eventualmente la presenza di altri apparati elettronici.