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    La polizia arresta un noto imprenditore trapanese che aveva assoldato un amico per uccidere il cognato

    Nel marzo del 2013, aveva commissionato l’uccisione del cognato, assoldando un amico per l’esecuzione. Lui, il mandante è un noto imprenditore Matteo Bucaria, tratto in arresto questa mattina dagli uomini della Squadra Mobile di Trapani.

    L’uomo, cinquantaduenne trapanese, molto conosciuto in città, all’epoca dei fatti, si trovava in difficoltà economiche, tanto che poi fu una sentenza di condanna per bancarotta a scriverne il verdetto.

    Una fine che aveva deciso di ribaltare eliminando il cognato per potersi assicurare il suo cospicuo patrimonio derivante sia da cespiti ereditari, sia da un compenso assicurativo milionario pari ad oltre 600 mila euro.

    In effetti la vittima, nonostante la sua buona fede, aveva intuito che il congiunto gli stesse sottraendo denaro ed a più riprese aveva chiesto sempre più insistentemente spiegazioni sul reale ammontare dell’indennizzo assicurativo e su altre operazioni attinenti la sua sfera patrimoniale, ricevendo solo vaghe indicazioni. Queste le motivazioni alla base «della risoluzione criminosa, per la cui esecuzione l’indagato aveva individuato un suo amico, al quale aveva consegnato un fucile a canne mozze detenuto, naturalmente, in maniera illegale» scrivono in una nota dalla Questura.

    Nonostante due colpi di arma da fuoco avessero attinto la vittima designata in più parti del corpo, provocandogli gravissime ferite, la stessa era riuscita a sopravvivere e l’esecutore materiale, individuato ed arrestato, era stato condannato a 12 anni di carcere.

    «Le motivazioni del gesto – si legge ancora nella nota – non erano state acclarate e si era fatto riferimento solo a generici e pretestuosi dissidi pregressi tra la vittima e la persona incaricata di ucciderla. Dal settembre 2019, a partire da un esposto anonimo, le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Trapani, erano state riavviate».

    Attraverso la rilettura degli atti processuali pregressi, il riascolto delle intercettazioni dell’epoca con l’ausilio di più recenti tecnologie e nuove attività tecniche erano stati progressivamente raccolti gravi elementi indiziari.

    Ad essere stato decisivo il sequestro di una lettera scritta di pugno dal carcere dall’autore materiale del delitto al suo mandante, in cui «egli si era lamentato di non aver ricevuto il compenso concordato per l’esecuzione del crimine, rimarcando di aver bisogno di un’adeguata rendita per sua famiglia come ristoro di quanto era derivato dalla sua carcerazione. Un’ammissione nero su bianco di quanto fatto e di quanto commisionato, seppur in maniera tacita, che non lasciava dubbi».

    Dinanzi alla scoperta di tale evidenza investigativa, il complice aveva poi pienamente collaborato, ricostruendo con dovizia di particolari tutta la vicenda ed offrendo quindi pieno riscontro a quanto già accertato dagli operatori della Squadra Mobile.

    Oggi l’epilogo della vicenda «quando l’uomo è stato tratto in arresto, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal locale Giudice per le Indagini Preliminari, con le accuse di tentato omicidio aggravato, detenzione e porto abusivo di arma alterata».

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