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    Dopo Milano, Torino e Napoli anche Trapani scende in piazza contro il DPCM, 12 sindaci della provincia scrivono a Conte e Musumeci

    Se nelle ultime ore, da nord a sud, gli italiani hanno messo sotto attacco l’operato del Presidente Conte, oggi, sordo, il governo Conte ha approvato il Decreto Ristori «Se non marciamo assieme aggraviamo la situazione» ha tagliato corto il premier.

    Ma a non voler andare al suo stesso passo, e soprattutto nella sua stessa direzione, sono in molti. A cominciare dalle categorie più colpite dai suoi dpcm, che si possono ormai collezionare, sono i ristoratori, gli stessi che da maggio, attendono la cassa integrazione promessa e mai arrivata. Così dopo Milano e Torino, sono scesi in piazza con la voce grossa, forse troppo per i danni fatti ieri sera. A testa alta dice no anche il sud, sempre più vessato dopo la stagione estiva appena conclusa. Prima Napoli e oggi Trapani contro le restrizioni ma senza danni a cose (che di fatto pagano i cittadini) hanno chiesto da un lato le modifiche delle misure e le dimissioni del governatore della Campania, e dall’altro, a Trapani oltre 200 persone di categorie differenti si sono radunate per chiedere al Presidente del Consiglio di rivedere il Decreto che obbliga alla chiusura.

    A loro supporto anche i sindaci di 12 Comuni della provincia di Trapani hanno scritto insieme al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Regione Siciliana, al Ministro per il Sud, al Ministro dell’economia e finanze, a quello dello Sviluppo Economico, ai Presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato e ai Capi Gruppo dell’ARS, per chiedere la modifica dell’ultimo DPCM.

    Per l’appello firmato anche dai sindaci dei Comuni di Trapani, Erice, Buseto Palizzolo, Calatafimi-Segesta, Castellammare del Golfo, Gibellina, Marsala, Paceco, Partanna, Salaparuta, San Vito Lo Capo e Valderice, le misure contenute nell’ultimo DPCM del 24 ottobre scorso, rischiano di compromettere definitivamente la tenuta del sistema economico del mezzogiorno e delle comunità che rappresentano specialmente nella parte che contiene misure in materia di apertura dei locali pubblici e di svolgimento di alcune attività ludiche e sportive.

    Per i sindaci non c’è un collegamento tra la ripresa dei contagi e queste ultime attività. Viceversa, rispettando i protocolli, proprio queste sembrano più sicuri di altri senza  restrizioni.

    Ecco il testo della lettera:

    «Egregi Presidenti,
    il nostro Paese, dallo scorso mese di febbraio sta vivendo un periodo unico della sua storia. Nessuno di noi avrebbe mai pensato di sospendere alcune diritti fondamentali al fine di tutelare il primario diritto alla salute dei cittadini.

    Le Città che ci onoriamo di rappresentare, durante i mesi di lockdown – nonostante tra queste l’Amministrazione di Trapani avesse financo segnalato l’incongruenza di alcune norme rispetto alla reale situazione epidemiologica della Sicilia, impugnando il DPCM 26 aprile 2020 innanzi al TAR del Lazio – hanno rispettato le misure adottate dal Governo che nel mese di maggio hanno condotto ad una drastica riduzione dei contagi ed alla conseguente lenta ripresa delle attività sociali ed economiche, pur sempre in ossequio alle norme sul distanziamento individuale.

    Purtroppo, il subdolo virus, a partire dal mese di settembre, ha ripreso a circolare, portando la curva del contagio ai livelli allarmanti di questi giorni.

    Dinnanzi a ciò, non è certamente possibile rimanere inermi e ognuno dovrà fare la propria parte, onde tutelare la salute dei cittadini ed evitare il tracollo economico, oltre a garantire la stabilità sociale.

    Nonostante la consapevolezza che l’urgenza e la situazione di gravissima emergenza sanitaria impongono scelte difficili e talvolta impopolari, poiché incidono pesantemente sulla vita reale degli italiani, ci preme rassegnarLe come il DPCM del 24 ottobre 2020, nella pretesa universalità, contenga misure in materia di apertura dei locali pubblici e di svolgimento di alcune attività ludiche e sportive che rischiano di compromettere definitivamente la tenuta del sistema economico del mezzogiorno e della comunità che rappresentiamo e che non rispondono in alcun modo a quelle che sono le reali abitudini del territorio.

    Chiudere un ristorante o un bar alle ore 18:00 a Milano significa riconoscere loro la possibilità di lavorare, grazie alle decine di migliaia di lavoratori che si spostano giornalmente, mentre gli stessi orari in Sicilia ed in provincia di Trapani non rappresentano – dal punto di vista economico – la fascia oraria di maggiore afflusso di avventori, essendo – nel nostro territorio – in voga la consumazione pomeridiana e serale (ristoranti, pizzerie etc…). Peraltro, e non a caso, abbiamo assegnato spazi pubblici per ampliare gli spazi di sicurezza e posti a sedere per gli utenti.

    Questo ovviamente, coinvolge tutto il sistema dell’indotto legato alla ristorazione ed ai servizi connessi.

    Ma v’è di più. Nel nostro territorio tutte le strutture comprese quelle sportive e le palestre – come immaginiamo nel resto del Paese – hanno investito decine di migliaia di euro per l’adeguamento delle stesse alle misure di prevenzione. Lo stesso dicasi per i teatri ed i cinema. Ad oggi, non sembra emergere un dato che collega la ripresa dei contagi a tali ultime attività che anzi, rispettando i protocolli, appaiano certamente più sicuri di altri che non subiranno restrizioni.

    A fronte di ciò, nel chiederLe di modificare il provvedimento adottato, tutelando le attività che hanno fatto cospicui investimenti per salvaguardare la salute pubblica, precisiamo che – laddove ciò non avvenisse – sarà necessario modulare un immediato sistema di aiuti che non conceda indistinte sovvenzioni a pioggia, ma che si basi sulle reali esigenze territoriali, tenendo in debita considerazione quanto sopra accennato, in merito ai costumi e agli usi delle Regioni del Sud, che altrimenti – nonostante i fondi che chiediamo vengano tempestivamente erogati a ristoro – saranno costretti a cessare l’attività, provocando un depauperamento del tessuto produttivo del territorio, con gravissime ricadute sulla stabilità sociale ed economica del Mezzogiorno e della Sicilia.

    Rammentiamo che l’articolo 3 della Costituzione, nel sancire il principio di uguaglianza sostanziale, impone di adottare in casi uguali il medesimo trattamento ed in casi diversi soluzioni adatte a fattispecie diverse.

    Sulla scorta di questo principio costituzionale invitiamo, al pari il Presidente della Regione Siciliana- così come dallo stesso preannunziato- ad adottare ogni iniziativa e provvedimento utili a tutelare e salvaguardare i diritti dei Siciliani e a scongiurare la definitiva chiusura delle attività economiche ovvero il pericolo che le stesse cadano in mano alla criminalità organizzata».

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