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    Addio a Letizia Battaglia, la fotoreporter della Palermo criminale

    Letizia non si fermava mai. Ad 87 anni, nonostante la malattia, programmava ancora viaggi e partecipava a workshop sulla fotografia.

    Il soggetto del suo primo scatto fu Pier Paolo Pasolini ma successivamente, da Milano, nonostante la sua carriera l’ha vista protagonista in molte altre città, come Parigi, tornò in Sicilia.

    I suoi scatti, a Palermo, bloccavano il nemico. In brevissimo tempo, ne arrestavano i movimenti incastonandoli in frame pixellati. Quel tanto che bastava a darci perfette informazioni in formato 50×40 o 75×50 magari a colori o, in bianco e nero purché vere. Il patto era avere il fegato di guardare bene in faccia la realtà, non solo raccontare la verità. Stava dentro e fuori i margini. Lei non aveva paura. O forse la trasformava in coraggio. Non era facile immortalare i morti ammazzati dalla mafia, le stragi, le mogli delle vittime e le sorelle disperate.

    «Ho fotografato in tutto il mondo, ma fuori da Palermo le foto mi vengono diverse. Qui c’è qualcosa che mi appartiene, o io forse le appartengo. Ho fotografato la cronaca di questa città, io non ho fatto arte, ho fatto un lavoro, duro, anche spietato, per diciannove anni. E nella cronaca c’era di tutto, processioni, partite di calcio, feste dei ricchi, mai un capodanno con la mia famiglia in diciannove anni! C’era la spazzatura nelle strade e il concorso delle miss, arrivava Mina e fotografavo pure lei. Anche a fotografare le ragazze in topless a Mondello mi mandavano. Ma a Palermo c’era la mafia, c’erano le vittime della mafia. E io ho fotografato anche quelle. Tante. Troppe da sopportare».

    A quei tempi, nel 1974, lavorava per l’Ora e documentava quella seconda guerra di mafia scoppiata tra i sopravvissuti alla prima e al carcere. C’era sete di potere e di dominio, di vendetta e di sangue. Le foto di Letizia Battaglia divennero icone drammatiche e simboliche delle vicende di mafia. Lo divennero anche quelle che riprendevano i boss imputati nel maxiprocesso, Giovanni Falcone che raccoglieva le rivelazioni di Tommaso Buscetta, la figura di Giulio Andreotti accusato di avere avuto rapporti con Cosa nostra.

    Lo scatto più drammatico e più evocativo è quello che riprende Sergio Mattarella mentre cerca di soccorrere il fratello Piersanti abbattuto dai sicari della mafia. L’archivio di Letizia Battaglia è diventato così una immensa galleria di personaggi ma anche un giacimento di memoria e di quella che Andò ha chiamato la “liturgia struggente” dell’Apocalisse palermitana. Non mancava in quel lavoro un forte impegno civile ma anche un senso di disgusto che portava Letizia Battaglia a cambiare spesso soggetti e a occuparsi soprattutto di donne e di bambine.

    Celebre, sullo sfondo delle miserie del quartiere della Kalsa, la foto della bambina con il pallone che riuscirà a ritrovare e ad abbracciare dopo 40 anni. Fotografie esposte in tutto il mondo e che le sono valse anche prestigiosi riconoscimenti internazionali come il premio Eugene Smith. Letizia Battaglia ha fatto la fotoreporter, raccontava, “con onore e disciplina“.

    Non mancava mai gli appuntamenti con le grandi storie. Ma c’è stato un periodo in cui anche lei si è lasciata tentare dalla politica. Con i verdi fu eletta deputato regionale e poi nominata anche assessore al decoro urbano in una delle giunte di Leoluca Orlando con il quale è rimasto un legame così forte da resistere alle scosse di polemiche volanti. Quando sembrava giunto il momento di lasciare a casa la macchina fotografica, Letizia Battaglia ha trovato altri stimoli per continuare il suo lavoro. Stavolta come testimone di una storia che nei suoi racconti parte quando, giovanissima, diventò mamma e per lei cominciò la grande avventura della vita.

    «Ha condiviso sempre il primato dei diritti, anche oltre e contro la legge. Una donna, un’artista, una politica ‘oltre’, sempre ‘oltre’ i luoghi comuni e i perbenismi ipocriti. E stata una donna leggera e scomoda, come è chi ha valori forti. Tanti i ricordi, tante lacrime”. Così il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ha ricordato Letizia Battaglia, a Palazzo delle Aquile, sede del Comune, dove è stata aperta la camera ardente e dove in tantissimi hanno portato il loro ultimo saluto a una donna capace di dare corpo alle tante contraddizioni di Palermo, si è svolta una cerimonia laica per dirle addio.

    «Letizia Battaglia ci ha lasciato tante lacrime e un grande dolore – ha detto ancora Orlando -. E’ stata capace di fare emergere pezzi di umanità tra sofferenze e violenze disumane. Una grande voglia di rendere visibile l’invisibile nella sua vita, con i suoi scatti, nella sua attività politica… l’innocenza, la malvagità, la vita, la morte, un amore senza regole e senza limiti per gli ultimi, per gli emarginati». Orlando, nel corso della cerimonia, ha letto anche la poesia ‘A coloro che verranno’ di Bertolt Brecht.

    «Vi ringrazio di avere portato qui tutto questo amore in un momento così difficile. Ha sofferto tantissimo. Questa è la sua rinascita, la sua Pasqua, la sua resurrezione. Vedervi qui oggi tutti, con qualcosa di lei nel vostro cuore, è un seme, lasciamola crescere dentro di noi come una speranza, come una bellezza. La bellezza che lei amava tanto». Con la voce rotta dalla commozione così Shobha Battaglia ha ricordato la madre Letizia. «Averla come madre è stato un privilegio per noi – ha sottolineato visibilmente commossa -. Oggi io la riconsegno al mondo, perché lei è adesso con tutti noi. Sono stata privilegiata a porter vivere due anni e mezzo così vicino a lei, che anche se soffriva, è stata una maestra, mi ha insegnato tante cose. Mi sento molto ricca in questo momento».

    Il popolo di Letizia Battaglia si stringe attorno al feretro nell’ultimo momento della cerimonia. Poi il lungo viaggio verso Cosenza per la cremazione. Torneranno le ceneri. Shobha riunirà la famiglia per decidere come sarà l’ultimo rito del distacco. Le ceneri saranno sparse nel mare di Mondello che così raccoglierà, dice la figlia, «la luce di Letizia».

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