Lo ha fatto ancora Vito D’Angelo, presunto capo della cellula mafiosa di Favignana (Trapani). Adesso che era tornato ai domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria. Ma D’angelo, originario di Ravanusa (Agrigento) ha violato, come lo scorso 9 ottobre, il provvedimento imposto dal Tribunale di Trapani che, nei giorni scorsi, aveva accolto la richiesta avanzata dai suoi difensori.
I Carabinieri, infatti, lo hanno trovato in compagnia di persone non autorizzate ad incontrarlo. Immediatamente i pm della Dda di Palermo (procuratore aggiunto Paolo Guido, sostituto procuratore Gianluca De Leo) hanno chiesto il rafforzamento della misura, concesso dai giudici di Trapani.
Un recidivo il settantaduenne. In un’altra occasione, infatti, era stato riportato in carcere a causa delle sue inadempienze ai domiciliari.
D’angelo, ritenuto il vertice di un’articolazione operativa di Cosa Nostra sull’isola Favignana, dopo alcuni mesi di detenzione presso il carcere Pagliarelli di Palermo (a seguito del blitz antimafia Scrigno in cui furono arrestate venticinque persone), era stato sottoposto al regime degli arresti domiciliari poiché le precarie condizioni di salute dello stesso, erano ritenute incompatibili con il regime carcerario.
Il 9 ottobre scorso però, veniva condotto in carcere per aver violato da subito le prescrizioni relative ai divieti di comunicazioni con persone non autorizzate, incontrando più volte soggetti che, a loro volta, mantenevano i contatti addirittura con co-indagati nel suo stesso procedimento penale.
A seguito dell’emergenza coronavirus che da mesi ha colpito il nostro Paese, il D’angelo rientra tra quei “boss” che possono usufruire dei domiciliari per motivi di salute e per il rischio di contagio da Covid 19 in carcere. Ma come la volta precedente non appena tornato a casa ha iniziato ad incontrare “vecchi amici”.
Grazie agli assidui controlli approfonditi messi in atto dai militari della Stazione Carabinieri di Favignana il soggetto veniva segnalato più volte in compagnia di persone non autorizzate a frequentarlo. Per tale motivo scaturiva l’ennesimo provvedimento restrittivo nei suoi confronti e, a seguito della traduzione a bordo della Motovedetta 811 Pignatelli, veniva associato presso il carcere “Pietro Cerulli” di Trapani come disposto dall’Autorità Giudiziaria.
Nell’operazione “Scrigno” furono arrestati anche i fratelli Francesco e Pietro Virga, eredi del boss Vincenzo arrestato nel 2001 da latitante. Secondo le indagini i due avevano allungato i loro tentacoli anche sull’isola di Favignana, per il tramite di Vito D’Angelo, reduce da una lunga detenzione per omicidio. I rampolli di mafia erano insoddisfatti del ruolo di D’Angelo ma soprattutto di Francesco Russo, piccolo imprenditore a servizio della famiglia, poco tollerante con le vittime delle estorsioni isolane. “Vossia gli deve dire che lui deve portare tutta l’acqua a questo mulino, Ciccio Russo non deve andarci più“, dicevano i Virga a D’Angelo.
Nell’indagine emerse anche la pista dei rifiuti, riportando d’attualità i vecchi interessi della mafia targata Virga, con un affare che riguardava la raccolta degli inerti su alcuni cantieri edili allestiti su Favignana.