Signori si nasce e lui, Paolo Gallo, lo è stato fino all’ultimo respiro dei suoi 81 anni.
A Trapani le stelle Michelin tardano ad arrivare, e se anche Paolo le avesse meritate, per aver scritto con i suoi piatti la tradizione culinaria trapanese, sicuramente le avrebbe rifiutate perché, dietro a quei fornelli, che per anni lo hanno visto protagonista ma anche prigioniero, Paolo non voleva limiti.
All’estro e alla passione non ci sono confini ma nemmeno barriere per questo la porta della sua cucina, dove amava anche improvvisare, restava aperta al P&G, e in bella vista Da Paolo, in via Firenze. Ovunque, poi, sempre pronta ad accogliere chiunque volesse varcare la soglia del suo regno da dove, appena poteva, alla vecchia maniera, sgattaiolava fuori con il cappello da cuoco e il grembiule ancora allacciato in grembo, per sedersi al tavolo con i suoi ospiti chiedendo com’era andata, e raccontando divertenti aneddoti e qualche ricetta perché lui, Paolo, non aveva segreti.
Le etichette le lasciava attaccate alle bottiglie dei vini che, di tanto in tanto, beveva, senza mai esagerare, con chi lo meritava. La sua era una cucina tradizionale, legata al territorio a cui apparteneva e che enfatizzava nel piatto.
Era discreto Paolo, che amava la famiglia, quella a cui aveva dedicato ogni sacrificio e alla quale dedicava ogni minuto libero dopo il lavoro. Una moglie, due figlie e quattro nipoti che, adesso che era andato in pensione, si stava finalmente godendo.
Un cuore grande il suo, da sempre. Come quando inviava i pacchi a Roma, dove la figlia maggiore aveva deciso di studiare sociologia per laurearsi, più tardi, a La Sapienza, stracolmi di sughi preparati con le sue mani che profumavano d’amore prima che di bontà.
Veniva a trovarla di rado ma, quando arrivava nella Capitale, anche noi, che vivevamo sotto lo stesso tetto insieme a Marta, eravamo tutte invitate a pranzo o a cena nei migliori ristoranti capitolini. Sorrideva sempre ‘u zu Paolo e, nonostante lavorasse ininterrottamente, non era mai stanco. I suoi occhi erano luminosi e brillavano ancor di più quando Marta, Gabriella e la moglie Silvana erano felici. Ed a lui, per esserlo, bastava davvero poco. Era un uomo semplice, gentile. Un uomo d’altri tempi.
Eppure questo suo grande cuore era sofferente e ammalto tanto da preoccupare la sua famiglia che aveva premuto affinché andasse in pensione.
«Basta -continuavano a ripetere- ti ammalerai di troppo di lavoro».
Ma per lui la cucina era vita e a portarselo via, oggi, è stato un brutto male che, fino a poche settimane fa, non sapeva nemmeno di avere ma che, in poco tempo, l’ha logorato.
Se n’è andato in silenzio, con la discrezione e l’eleganza che l’hanno contraddistinto per anni.
Voglio ricordarlo con un sorriso, gli occhi brillanti e la battuta sempre pronta a farsi accogliere anche in quell’altrove che, per chi crede, non può che essere un paradiso con una fantastica cucina dove può divertirsi e far “scialare” le anime che lo stanno festeggiando.
I funerali verranno celebrati domani mattina, venerdì 4 giugno, alle 10:30 presso la Chiesa del Collegio.