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    I Carabinieri di Trapani aiutano nelle indagini sul food delivery, oltre 1000 i rider ascoltati

    Quando tutto s’è bloccato per imposizione DPCM, loro hanno continuato a spingere sui pedali delle biciclette per accontentare i clienti che da casa prenotavano pranzi e cene a domicilio.

    Pagati dalle 3 alle agli 8 euro, questo il tariffario dei riders che, nella maggior parte delle volte, dovevano provvedere da soli a procurarsi i DPI per proteggersi e proteggere dal virus mentre provvedevano a consegnare pranzi e cene pedalando nelle città deserte e ammalate.

    Un lavoro, quello dei riders, svolto per lo più da ragazzi: universitari, extracomunitari ed oggi, molti che hanno perso il lavoro e che, pur di guadagnare qualcosa, si accontentano (è davvero il caso di dire), di questi pochi spiccioli.

    Le retribuzioni dipendono dalla forma contrattuale (lavoratore autonomo o dipendente) ed è legata ad alcune variabili come il mezzo di trasporto o il giorno della settimana in cui si consegna.

    Il tutto rientra dentro la piattaforma on line del “platform work” che abbina l’offerta e la domanda a cui si affidano Foodora, Just Eat, Glovo, Deliveroo o Uber Eats (oggi nel mirino di un’inchiesta e commissariata dal tribunale di Milano con l’accusa di caporalato per lo sfruttamento dei rider addetti alle consegne di cibo per il servizio Uber Eats).

    Condizioni lavorative pessime denunciate da tempo dai lavoratori in questi mesi sono state sotto i riflettori mediatici e al vaglio della magistratura che ha aperto delle indagini in tutta Italia. Inchieste partite prima per la sicurezza stradale e sul lavoro dei rider, poi avanzate sulle violazioni delle norme igienico sanitarie ed ampliatesi sugli eventuali casi di sfruttamento, come il caporalato.

    Se è vero che a Trapani i riders non spopolano, basta spostarsi nel palermitano per trovarne già un numero sufficiente a dare volume ai fascicoli della denuncia. Per questo i Carabinieri di Trapani, nel fine settimana appena trascorso, hanno aiutato i colleghi del Comando Tutela Lavoro ad intervistare gli oltre mille riders operanti per le principali piattaforme virtuali del food delivery. Lo scopo è stato quello di acquisire informazioni utili alle indagini in corso delegate all’unità specializzata dell’Arma, dalla Procura della Repubblica di Milano: verificare la gestione del rapporto di lavoro.

    Le attività dei Carabinieri si sono svolte su strada contestualmente in tutte le provincie ed hanno consentito di fotografare, attraverso la voce dei lavoratori e delle condizioni reali constatate sul territorio, le modalità di svolgimento del servizio e le forme di tutela loro garantite, sia sotto il profilo della sicurezza, sia sanitario.

    Nell’inchiesta sulla società Uber Italy srl, che ha portato anche ad una serie di perquisizioni, viene contestato il reato previsto dall’articolo di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro“. I fattorini, stando a quanto ricostruito, formalmente non lavorerebbero per Uber ma per altre due società di intermediazione del settore della logistica, tra cui la Flash Road City che risulta indagata nel procedimento.

    «La mia paga era sempre di 3 euro a consegna indipendentemente dal giorno e dall’ora». Lo ha messo a verbale un rider che ha lavorato per Uber Eats, come emerge dal decreto con cui è stata commissariata per caporalato la filiale italiana del gruppo. Per i giudici di Milano, Uber, attraverso società di intermediazione di manodopera, avrebbe sfruttato migranti “provenienti” da contesti di guerra, “richiedenti asilo” e persone che dimoravano in “centri di accoglienza temporanei” e in “stato di bisogno”.

    «Uber Eats ha messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali. Condanniamo ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia». Scrive in una nota il gruppo dopo il commissariamento da parte del Tribunale di Milano. «Inoltre partecipiamo attivamente al dibattito sulle regolamentazioni che crediamo potranno dare al settore del food delivery la sicurezza legale necessaria per prosperare in Italia. Continueremo a lavorare per essere un vero partner di lungo termine in Italia», ha aggiunto l’azienda.

     

    Emma L

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