More

    La relazione semestrale della DIA fa il punto sulla criminalità trapanese

    «Lo shock del coronavirus è andato ad impattare su un sistema economico nazionale già in difficoltà; un sistema che nel 2019 aveva segnato un marcato rallentamento, con un PIL cresciuto di soli 0,2 punti percentuali rispetto all’anno precedente e ben distante dal picco raggiunto nel 2008. Un andamento che, impattando sull’economia reale, ha finito per accrescere, specie nelle regioni del sud Italia, e nelle periferie depresse delle grandi aree metropolitane, le sacche di povertà e di disagio sociale già esistenti. Ecco allora che l’ancor più ridotta possibilità di disporre di liquidità finanziaria – spesso ottenuta anche attraverso il lavoro irregolare – potrà finire per compromettere l’azione di “contenimento sociale” che lo Stato, attraverso i propri presidi di assistenza, prevenzione e repressione ha finora, anche se con fatica, garantito. Alla fascia di una popolazione indigente secondo i dati forniti dall’ISTAT, se ne aggiunge un’altra, che inizia a “percepire” lo stato di povertà a cui sta andando incontro.

    Un focolaio che finisce per meglio attecchire soprattutto nelle regioni di elezione delle mafie, dove una Questione meridionale non solo mai risolta, ma per decenni nemmeno seriamente affrontata, offre alle organizzazioni criminali da un lato la possibilità di esacerbare gli animi, dall’altro di porsi come welfare alternativo, come valido ed utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale. C’è poi l’aspetto della paralisi economica, che in questo caso ha assunto dimensioni macro, e che può aprire alle mafie prospettive di espansione e arricchimento paragonabili ai ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico.» E’ quello che si legge all’interno della sola premessa alla Relazione della Direzione investigativa Antimafia al Parlamento redatta nel secondo semestre del 2019 e che per la criminalità organizzata siciliana dedica l’intero capitolo.

    Calabria e della Sicilia sciolti per la prima volta, altri addirittura più volte. Ciò significa che il problema è patologico. Abbiamo due aziende sanitarie, tutte e due in Calabria, quella di Catanzaro e quella di Reggio Calabria, commissariate per infiltrazione mafiosa e sappiamo bene quanti soldi gestisca la Sanità regionale.»

    La paura, sottolinea il generale Giuseppe Governale, direttore della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), commentando il Rapporto Italia 2020 a 24 Mattino su Radio 24 è sulle «regionali in arrivo non sono un evento chiuso, che si svolge in un alveo incontaminato, per questo temiamo che la mafia capitalizzi alle urne il consenso ottenuto attraverso il welfare alternativo alle aziende e ai privati in crisi post Covid. Purtroppo lo sappiamo, e la relazione lo dice: quest’anno abbiamo avuto 51 enti locali sciolti per mafia, è il dato più alto dal 1991. Ci sono tantissimi comuni della

    Alla quale si aggiunge il caso Sorella Sanità registrato come un terremoto con epicentro nel cuore dell’Asp siciliana. «Non possiamo non considerare il problema dell’infiltrazione come un problema serio, lo è sempre stato, solo che in epoche passate c’è stata molta insensibilità». La parola “elezione” all’interno della relezione si fa ridondante tanto da risultate ripetitiva. Non si cercano sinonimi ma si lascia per farne capire il senso.

    «È evidente – si legge nella Relazione – che le organizzazioni criminali hanno tutto l’interesse a fomentare episodi di intolleranza urbana, strumentalizzando la situazione di disagio economico per trasformarla in protesta sociale, specie al Sud». E continua: «Il turismo, la ristorazione e i servizi connessi alla persona sono tra i settori che hanno più risentito del lockdown, e che faranno registrare una netta diminuzione del fatturato dovuta alla prospettiva di una stagione estiva difficile, per affrontare la quale, in molti casi, sono stati già fatti investimenti e ristrutturazioni immobiliari, i cui costi dovranno comunque essere sostenuti.

    Ne deriverà una diffusa mancanza di liquidità, che espone molti commercianti all’usura, con un conseguente rischio di impossessamento delle attività economiche con finalità di riciclaggio e di reimpiego dei capitali illeciti. Tra i più esposti si segnalano gli alberghi, i ristoranti e bar, i bed & breakfast, le case vacanze e attività simili, i centri benessere e le agenzie di viaggi. Anche la gestione di impianti sportivi e di palestre ha subìto, negli ultimi anni, diverse attenzioni da parte dei clan».

    Adesso ci sarà la resa dei conti. Per la DIA il voto sarà condizionato: in Sicilia continuerà il “prestito” garantito alle famiglie bisognose «Prestito di denaro, non necessariamente elargito a tassi usurari, nella prospettiva di maturare “crediti” da riscuotere in occasione delle future tornate elettorali, in maniera analoga a quanto segnalato per la ‘ndrangheta».

    A Trapani

    «La criminalità organizzata trapanese, storicamente connessa a quella palermitana, – si legge nello specifico per ciò che interessa la nostra provincia – continua ad essere fortemente radicata sul territorio. Questa costituisce, di fatto, una delle roccaforti di Cosa nostra, che continua ad agire secondo una logica familistica e clientelare. Cosa nostra trapanese, facendo sempre leva sulle diseguaglianze socio-economiche, punta a reclutare manodopera nelle fasce più povere della popolazione, facendo al contempo affari con i più ricchi. Anche nella provincia trapanese le consorterie privilegiano, rispetto a metodologie più aggressive, accordi affaristici, proiettando le proprie mire sugli apparati pubblici328, condizionandone la gestione».

    Si legge nella relazione che continua «Alla presenza delle storiche organizzazioni mafiose si aggiunge l’operatività di piccole formazioni criminali autonome, attive soprattutto nei reati predatori, e quella di sodalizi di matrice straniera329, attivi invece nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nel contrabbando di sigarette Settori, quest’ultimi, generalmente tollerati da Cosa nostra in ragione della loro marginalità. La struttura organizzativa resta ancorata ai quattro storici mandamenti330 di Trapani, Alcamo, Castelvetrano e Mazara del Vallo, composti in totale da 17 famiglie mafiose».

    Recentemente è stata documentata, continuano: « l’esistenza di una cellula operativa di Cosa nostra sull’isola di Favignana, gerarchicamente dipendente dalla famiglia mafiosa di Trapani. In questo scenario, connotato dalla scarsa possibilità di mutamenti nella struttura delle compagini mafiose, il polo trapanese – sottolinea la DIA – si conferma come caratterizzato dalla forte coesione dei gruppi, che non stanno facendo registrare situazioni di conflittualità. I capi dei mandamenti mafiosi di Trapani ed Alcamo, appannaggio delle storiche famiglie, sembrano privilegiare, per le posizioni di vertice, persone appartenenti alla cerchia familiare, imponendo quindi uno regime quasi “dinastico” .

    I due mandamenti infatti, di stretta fede corleonese – i cui esponenti di vertice sono attualmente detenuti – sarebbero retti da soggetti di loro fiducia, selezionati in base a criteri familistici. La famiglia di Castelvetrano continua a fare riferimento a Matteo MESSINA DENARO, rappresentante provinciale di Trapani, alleato dei corleonesi, dei quali aveva condiviso la strategia stragista. Il capo mandamento di Castelvetrano, nonostante la lunga latitanza rappresenta ancora la figura più carismatica dell’organizzazione mafiosa trapanese. Un carisma da esercitare anche attraverso le persone appartenenti alla propria cerchia familiare, affinché il vincolo mafioso coincidesse con il vincolo di sangue; di conseguenza sono stati, nel tempo, tratti in arresto il fratello, i cognati ed i cugini, la sorella ed un nipote.

    Più incerta appare, invece, la situazione nel mandamento di Mazara del Vallo, importante compagine criminale anch’essa storicamente legata ai corleonesi. Dopo la morte per cause naturali dell’esponente di vertice del sodalizio, avvenuta nel luglio 2017, recenti operazioni hanno colpito numerosi soggetti ai vertici dell’organizzazione, lasciando aperta la successione per il ruolo di capo mandamento.

    Allo stato, tuttavia, la questione della reggenza non evidenzia criticità tali da innescare un conflitto interno tra le fazioni. Nell’intera provincia, le Forze di polizia operano un continuo ed attento monitoraggio nei confronti dei soggetti che hanno scontato la pena per reati connessi con l’associazione di tipo mafioso, considerato l’importante apporto che alcuni di loro possono fornire al riequilibrio della consorteria di appartenenza.

    Non di rado, infatti, gli affiliati rimessi in libertà, dopo avere scontato pene anche molto lunghe, riprendono il ruolo già ricoperto all’interno dell’organizzazione mafiosa. Per quanto concerne gli interessi perseguiti sul territorio, le investigazioni evidenziano come Cosa nostra, se da un lato appare sempre più protesa a divenire la mafia dei “colletti bianchi”, dall’altro resta sempre impegnata nelle tradizionali attività illecite, necessarie a far fronte alle frequenti crisi di liquidità.

    La consorteria continua ad imporre il “pizzo”, che rappresenta lo strumento essenziale per il controllo del territorio, oltre che una notevole fonte di guadagno, senza trascurare il traffico internazionale di sostanze stupefacenti. In tale ultimo contesto, particolarmente significativo è l’arresto avvenuto in Bolivia di un soggetto, originario della provincia ed in passato vicino a Cosa nostra, ritenuto tra i narcotrafficanti di maggior rilievo internazionale ed in stretti rapporti con i cartelli colombiani. L’uomo aveva coordinato la spedizione di oltre 430 kg di cocaina, stivata a bordo di una barca a vela salpata da Panama e sequestrata nelle acque della Polinesia Francese, alla fine di maggio 2019, dalla Gendarmeria del Paese d’oltralpe.

    Sempre in materia di stupefacenti, nell’ambito dell’operazione denominata “Eden III – Pequeno” sono stati tratti in arresto 3 pluripregiudicati, tra i quali un ex avvocato radiato dall’albo professionale, del quale erano stati accertati, in seguito agli esiti di diverse attività investigative, significativi rapporti con esponenti apicali di Cosa nostra339. L’organizzazione, “…ha mantenuto nel corso degli anni la stessa base logistica (da individuarsi in Campobello di Mazara, cittadina di cui sono originari i componenti stabili del sodalizio…), la medesima figura di vertice….infine lo stesso referente in Spagna (Maomet-Pequeno, allo stato non identificato), che consentiva i contatti fra detta associazione e i fornitori marocchini.”.

    Tale organizzazione ha effettuato, nel tempo, importazioni di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente lungo la tratta Marocco – Spagna – Italia. Spicca tra gli indagati la figura del menzionato ex avvocato, già “…definitivamente condannato…per aver fatto parte di un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante in Sicilia, a Milano e in altri luoghi del territorio nazionale…insieme ad altri numerosi soggetti…riconosciuto colpevole anche del reato di concorso esterno in associazione mafiosa…”.

    Lo stesso era stato, inoltre, “…più volte sottoposto a indagini per diversi omicidi di mafia…”. È stato, infine, accertato come parte dei proventi illeciti fosse destinata al soddisfacimento dei bisogni economici della consorteria ed, in particolare, al sostentamento dei sodali detenuti. Cosa nostra trapanese privilegia ancora un modus operandi collusivo-corruttivo basato su accordi affaristici; in tal senso, si proietta negli apparati produttivi ed imprenditoriali, riuscendo a condizionarne l’operatività e alterando, inevitabilmente, il sistema economico-finanziario del territorio.

    Investigazioni recenti hanno confermato come la “filiale trapanese” di Cosa nostra stia provando a darsi un volto rispettabile e a dedicarsi compiutamente ai grandi affari, con la complicità di personaggi insospettabili. Sempre più spesso, infatti, le indagini fanno emergere il coinvolgimento di quella fetta di mondo politico-imprenditoriale che si pone a disposizione dell’organizzazione mafiosa. Si ricorda, in proposito, l’operazione “Megawatt” del giugno 2019 che annovera, tra gli imputati, politici, dirigenti regionali, imprenditori, a vario titolo accusati di associazione mafiosa, corruzione, autoriciclaggio ed intestazione fittizia di beni.

    Nell’ambito della stessa indagine, la DIA di Trapani ha eseguito, nel mese di ottobre 2019, ulteriori arresti di imprenditori e funzionari regionali accusati, anch’essi, di intestazione fittizia di beni e corruzione, con l’aggravante di agevolare Cosa nostra. Nel semestre in esame, tale “sistema” collusivo-corruttivo si è mostrato in tutta la sua ampiezza anche nell’ambito dell’operazione “Eldorado”, nel corso della quale, sempre la DIA di Trapani ha tratto in arresto un figlio dello storico capo della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo.

    L’arrestato, dopo aver subìto il sequestro di alcune aziende operanti nel commercio ittico, con la complicità di un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale (anch’egli indagato, nello stesso procedimento penale, per peculato ed impiego di denaro provento da attività illecita), ha continuato ad occuparsi della gestione delle aziende; in particolare ha contattato clienti e fornitori e, soprattutto, riscosso i crediti pendenti, vanificando, in parte, gli effetti del sequestro antimafia. Le società erano state sottoposte dal Tribunale di Trapani a sequestro di prevenzione nel maggio del 2018 ed il professionista incaricato dell’amministrazione giudiziaria aveva distratto, a proprio vantaggio, somme di pertinenza delle aziende mediante prelevamenti e bonifici inviati sui propri conti personali.

    Altra forma di ingerenza mafiosa è quella perpetrata nel sistema degli appalti pubblici. Un’ingerenza realizzata attraverso imprese avviate da affiliati, mediante l’interposizione fittizia di prestanome, ovvero attraverso l’immissione di capitali provento di attività illecite in imprese compiacenti, lecitamente costituite. I settori più interessati sono quelli dello smaltimento rifiuti, della manutenzione del verde, della ristrutturazione di edifici scolastici e del rifacimento delle strade.

    In tali contesti, onde evitare le più rigorose, trasparenti e competitive procedure concorsuali ordinarie, spesso si ricorre a circostanze di asserita urgenza e necessità, che impongono affidamenti diretti. Sintomatici dell’interesse di Cosa nostra trapanese per il settore degli appalti pubblici sono i risultati dell’attività preventiva condotta dalla Prefettura che, con il supporto del Gruppo Interforze Antimafia, ha emesso, nel semestre, numerosi provvedimenti interdittivi nei confronti di società a rischio di infiltrazione mafiosa. Tra queste figurano imprese edili e di trasporto di inerti, aziende agricole, imprese operanti nel commercio e nell’intrattenimento ed anche una cooperativa, riconducibile ad un ex esponente del mondo politico siciliano vicino alle consorterie mafiose. Per tutte è emerso come sussistente il fondato pericolo che l’attività produttiva e lavorativa potesse agevolare le attività criminose dei sodalizi mafiosi.

    Importanti, si legge nella relazione, per il contrasto della criminalità trapanese sono, poi, i ripetuti provvedimenti di sequestro e confisca, che colpiscono anche la vasta schiera degli imprenditori collusi con Cosa nostra. Nel periodo di riferimento, infatti, nell’ambito delle citate operazioni “Megawatt” e “Eldorado”, oltre agli arresti sono stati eseguiti dalla DIA contestuali decreti di sequestro, per un ammontare complessivo di circa 1,5 milioni di euro. Per quanto riguarda altri provvedimenti ablativi eseguiti dalla DIA nell’attività di prevenzione si ricordano gli esiti di un’attività investigativa riguardante possibili infiltrazioni mafiose in una società di navigazione, beneficiaria di ingenti finanziamenti pubblici regionali.

    Pur non essendo emerse apprezzabili situazioni di contiguità, l’indagine ha evidenziato la pericolosità sociale degli imprenditori, in quanto in passato coinvolti in un’ampia investigazione per reati contro la Pubblica Amministrazione. In tale contesto, la DIA di Trapani ha dato esecuzione nel luglio 2019 ad un sequestro, per equivalente, dei beni mobili, immobili e delle risorse finanziarie nella disponibilità degli armatori. Particolare, poi, è il caso che ha condotto al sequestro, eseguito il successivo mese di agosto, di beni e di conti correnti riconducibili ad imprenditori della provincia di Palermo. Il patrimonio attinto comprende una vasta azienda agricola, autovetture e disponibilità finanziarie. Le indagini avevano accertato che parte di quanto ricavato da speculazioni edilizie nel trapanese avrebbe finanziato alcune tra le più attive e pericolose famiglie della provincia di Trapani.

    Infine, ad Erice (TP) è stato eseguito il sequestro di terreni agricoli, riconducibili ad un imprenditore edile ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di Trapani. È stata inoltre eseguita la confisca di beni immobili e disponibilità finanziarie nei confronti di due congiunti mazaresi – il più anziano dei quali sottoposto in passato a Sorveglianza speciale di polizia – sistematicamente dediti all’usura. Gli accertamenti bancari avevano rivelato come le movimentazioni sui conti bancari dei citati soggetti fossero assolutamente incompatibili con i redditi dichiarati e l’attività economica svolta. A carico di uno dei congiunti, che nel passato ha ricoperto cariche nel Consiglio comunale di Mazara del Vallo, nonché nel Consiglio provinciale di Trapani, il Tribunale ha ricondotto la disponibilità effettiva di beni immobili, fittiziamente intestati a terzi, poste in essere al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione.

    Si rammenta, altresì – pur non registrandosi nel semestre specifiche attività operative – come l’interesse mafioso sia rivolto anche verso la gestione dei rifiuti, l’accoglienza turistico-alberghiera, il ciclo del cemento, l’intermediazione immobiliare, ed infine verso la raccolta delle scommesse e dei giochi on line. L’infiltrazione in tali tipologie di attività consente a Cosa nostra di accrescere la capacità di controllo del territorio, di riciclare denaro provento di altre attività illecite, ed infine di offrire opportunità di lavoro ai propri accoliti. Come accennato, nel contesto criminale della provincia trapanese si rileva, infine, l’operatività di piccole formazioni criminali autonome, sia autoctone che di matrice etnica che, data la marginale importanza delle attività illecite poste in essere, sono tollerate da Cosa nostra.

    Queste formazioni sono attive nei reati predatori, nello spaccio di stupefacenti, nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nel contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Al riguardo, nel luglio 2019, nell’ambito dell’operazione “Ghost”, è stata disvelata un’organizzazione finalizzata proprio al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In particolare, i promotori, individuati in due cittadini marsalesi ed un tunisino, hanno in più occasioni provveduto a prelevare i migranti dalle coste tunisine, trasferirli clandestinamente in Italia a bordo di piccole imbarcazioni veloci e, una volta giunti sul territorio nazionale, a regolarizzare la loro posizione con la complicità di un imprenditore trapanese “…assumendo nel corso del 2016 e 2017 almeno 64 persone (su n. 66 dipendenti assunti nel periodo) a titolo fittizio presso la propria azienda e mettendo a disposizione…..la propria abitazione quale luogo di smistamento…”. Le indagini hanno appurato che per ogni viaggio venivano trasportati anche 250/300 kg. di sigarette, oltre a 10/12 persone, con ogni migrante che pagava tra i 1000 e i 4000 euro.

    Inoltre, nel mese di novembre un’attività di controllo della Guardia di finanza, nelle acque del Canale di Sicilia, ha condotto all’arresto di 17 persone di varia nazionalità ed al sequestro di 8 imbarcazioni utilizzate per il trasporto di tabacchi prodotti in Tunisia e negli Emirati Arabi Uniti. Il dispositivo aereo-marittimo della Guardia di finanza ha bloccato sia le navi-madri provenienti dall’Africa che i motoscafi utilizzati per il trasbordo delle sigarette.

    Nelle succitate attività illecite non sono emerse risultanze di contiguità con la criminalità organizzata. Tuttavia, non è da escludere un coinvolgimento di Cosa nostra nella successiva fase dell’accoglienza. Infine, nella provincia di Trapani – a differenza di quella palermitana – non si rileva la presenza di strutture criminali di etnia nigeriana. Si evidenzia, tuttavia, che nel mese di dicembre 2019 è stato tratto in arresto un cittadino nigeriano, residente a Marsala, nell’ambito di un’operazione condotta dalla Polizia di Stato nei confronti di 32 persone, ritenute responsabili di associazione mafiosa finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani, alla riduzione in schiavitù, alle estorsioni, alle rapine, alle lesioni personali, alla violenza sessuale, all’uso di armi bianche ed allo sfruttamento della prostituzione e dell’accattonaggio. Il soggetto è ritenuto associato ad una cellula reticolare della “fratellanza” denominata “Supreme Vikings Confraternity (SVC)”, inserita nel più ampio contesto delle confraternite nigeriane ed assimilabile, per struttura e modus operandi, alle mafie autoctone» conclude.

    Ultimi articoli