Era il 2 aprile dell’85, il tempo segna, mese più, mese meno, trentacinque anni dall’attentato contro l’allora pm trapanese Carlo Palermo, nel quale morirono Barbara Rizzo, di 33 anni, e i suoi gemellini di 6 anni, Salvatore e Giuseppe Asta. Una strage di stampo mafioso, quella di Pizzolungo, perché quelle vittime fecero da scudo tra l’auto bomba e l’auto del magistrato al momento della deflagrazione.
Venerdì prossimo, 13 novembre, è stata fissata a Caltanissetta l’udienza, l’ennesima, per quell’eccidio con un nuovo imputato: il boss dell’Acquasanta Vincenzo Galatolo, detenuto al 41bis.
Tre i processi celebrati finora per questa strage. Il primo contro gli esecutori, tutti appartenenti al clan mafioso di Alcamo, poi assolti in via definitiva dalla Cassazione, dopo una prima condanna in primo grado. Altri due processi hanno visto condannati in via definitiva i capi mafia Totò Riina e Vincenzo Virga e in un altro ancora i boss palermitani Nino Madonia e Balduccio di Maggio. Imputato del quarto processo è Vincenzo Galatolo, accusato di essere stato il mandante dalla figlia, Giovanna.
«Non appena il telegiornale diede la notizia ha messo a verbale Giovanna Galatolo mia madre iniziò a urlare: I bambini non si toccano. Mio padre le saltò addosso, cominciò a picchiarla, voleva dare fuoco alla casa».
«Avevo vent’anni – ha raccontato Giovanna – a casa sentivo mio padre che diceva: “Quel giudice è un cornuto”. Poi, si verificò l’attentato. La mattina del 2 aprile del 1985, poco dopo le 8:35, sulla strada provinciale che attraversa Pizzolungo, la mafia posizionò sul ciglio della strada un’autobomba per uccidere il sostituto procuratore Carlo Palermo che si stava recando al palazzo di Giustizia di Trapani a bordo di una Fiat 132 blindata, seguito da una Fiat Ritmo di scorta. In prossimità dell’autobomba la macchina del pm fu superata da una Volkswagen Scirocco guidata da Barbara Rizzo che stava accompagnando a scuola i figli. La coupé si venne a trovare tra l’autobomba e la 132. Trentacinque anni e la giustizia arranca.
