«Nessun consapevole e deliberato proposito di immutare artificiosamente lo stato e le condizioni della nave o l’intenzione di rafforzare l’altrui condotta a titolo di concorso morale» Così il Tribunale del Riesame di Palermo ha sancito l’estraneità dell’armatore della società Augusta Due, Raffaele Brullo, facendo decadere l’accusa formulata e sfociata negli arresti domiciliari, per i fatti relativi all’affondamento del peschereccio “Nuova Iside”, costato la vita a tre persone, e alle accuse che gli erano state mosse.
La Procura palermitana intanto, dopo il ritrovamento dei corpi e del motopesca con l’ausilio della Marina Militare, aveva scoperto parecchie cose che, nonostante ci fosse il mare di mezzo, bruciavano come il petrolio che galleggia in acqua e che sporcandola, rischia di bruciare più della tragedia stessa tanto da aprire un’inchiesta con un passepartout di accuse pesanti quanto una petroliera che sul presunto speronamento del peschereccio “Nuova Iside” avrebbe avuto tanto da aggiungere. Sospetti che si facevano tangibili ma che, ad oggi, si continuano a discutere.
Ricordiamo che il Nuova Iside, era un motopesca (tutt’ora inabissato) salpato dal porto di Terrasini con a bordo un equipaggio composto da tre marinai: Matteo, 53 anni, e Vito Lo Iacono, 26 anni, rispettivamente padre e figlio, e il cugino Giuseppe, 33 anni, rientrati in quello stesso molo ma, con il cuore fermo. Restituiti dal mare ed ora accompagnati dalla Guardia Costiera per il riconoscimento da parte dei familiari i quali, nel frattempo, da giorni, pregavano per l’unica speranza rimasta: un miracolo.
Del sedici metri si persero le tracce la notte tra il 11 e il 12 maggio dello scorso anno. Il blu box riportava la posizione del peschereccio alle 21,45 dell’12 maggio e, gli ultimi messaggi Whatsapp scambiati con la famiglia risalgono alle 22,33 della stessa sera.
Alla salsedine soffiata dal vento di quel piccolo porto si mescolavano lacrime e disperazione ma, restava da ritrovare il corpo del capitano Vito, il ventiseienne figlio di Matteo. Il corpo del capitano verrà ritrovato l’11 giugno in Calabria ma la conferma arriverà solo a dicembre, 5 mesi dopo aver fornito un campione del DNA. Nel frattempo, però, la mamma di Vito e moglie di Matteo, dopo il riconoscimento del corpo del marito chiese l’autopsia prima della sepoltura e da lì alcuni sospetti sulla dinamica dell’inabissamento, si fecero strada. I tre uomini dell’equipaggio, infatti, erano lupi di mare e, nonostante il tempo sfavorevole, non era certo la prima tempesta che affrontavano. Le ipotesi di uno speronamento o di una collisione trovavano tracce sulla rotta di una petroliera: la Vulcanello.
Proprio la Vulcanello, secondo quando successivamente ricostruito, si trovava sulla stessa rotta del Nuova Iside. Nei mesi successivi, la procura palermitana aprì un’inchiesta e mise sotto sequestro la petroliera. Nel frattempo dalla Marina Militare, a 1400 metri di profondità a 30 miglia nord di Palermo, rintraccerà, dopo giorni di ricerche, il Nuova Iside. Grazie ad alcune sofisticate attrezzature, sebbene non fu possibile riportarlo in superficie, fu possibile però effettuare dei rilievi sul relitto. Alcuni rilievi, in particolare quelli relativi alla vernice, furono successivamente comparate con le tracce di vernice poi ritrovate sulla petroliera della società Augusta Due che, nel frattempo, aveva però provveduto a nascondere con nuove e fresche pennellate di colore.
Queste comparazioni unite alle mappe nautiche sulle rotte seguite da entrambi i natanti si intrecciavano a testimonianze, mail, dati raccolti che gonfiavano i fascicoli della procura tanto che a febbraio la gip Annalisa Tesoriere emise una sentenza nella quale si leggeva che la petroliera, all’altezza di San Vito Lo Capo, avrebbe speronato il peschereccio «probabilmente trascinandolo con sé per almeno trenta secondi, scontrandosi più volte con lo scafo di quest’ultimo». Stando così i fatti il giovane comandante Vito Lo Iacono, il padre Matteo e il cugino Giuseppe sarebbero le vittime di questo scontro che non lascia tempo, all’equipaggio di un sedici metri, che sta già dormendo, di mettersi in salvo. Dopo essere speronati, infatti, il motopesca avrebbe iniziato ad imbarcare acqua e ad essere inghiottito dal mare in una manciata di minuti.
E «in seguito all’impatto, sebbene il personale di condotta abbia avuto contezza di anomalie, nulla è stato fatto per accertare cosa fosse successo, nessun segnale di allarme è stato inviato» .
Così, quelli che prima erano solo indagati, vennero arrestati per rispondere, a vario titolo, di naufragio, favoreggiamento e frode processuale. In base alle indagini della procura il Nuova Iside sarebbe stato presente per ben 24 minuti nel radar della Vulcanello. Un tempo sufficiente per consentirgli di cambiare rotta se solo, però, non avesse inserito la navigazione col pilota automatico verso Vibo Valentia e senza nessuno in plancia di comando pronto ad avvertire o a lanciare l’allarme. (E’ un caso che il corpo del capitano Vito si recuperò più avanti in acque calabresi?)
E’ in questo modo, secondo la ricostruzione della procura, seguita dal procuratore aggiunto Ennio Petrigni e dal sostituto Vincenzo Amico, che intorno alle 23 del 12 maggio, le due rotte si fecero una. Destini spezzati per sempre probabilmente perché non si è guardato abbastanza avanti o non ci si è voltati indietro. Non ci si è voluti fermare a lanciare un salvagente, ad allungare una mano.
Oltre agli esami della vernice, che qualcuno pare abbia cercato di cancellare ridipingendo immediatamente la petroliera, (alcune mail e testimonianze confermeranno l’illecito), dal sequestro della scatola nera della Vulcanello, si registra un’improvvisa decelerazione intorno alle 23 della stessa sera, all’altezza di San Vito lo Capo.
A quasi un anno da questa tragedia però, mentre la presunta verità sembrava essere sempre più forte di prove e testimonianze e lampante agli occhi di tutti, oggi diviene “equivoco processuale”
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