La Prima sezione penale della Corte di Cassazione sul processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, il giornalista e sociologo ucciso a Lenzi(TP) il 26 settembre del 1988 ha confermato l’ergastolo per il boss Vincenzo Virga e l’assoluzione per Vito Mazzara
Insomma esiste il mandante ma non c’è l’esecutore. I giudici di Piazza Cavour hanno rigettato i ricorsi presentati dalla difesa di Virga e dalla procura generale di Palermo contro la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo del febbraio 2018. In primo grado, nel 2014, Virga e Mazzara furono condannati entrambi all’ergastolo ma il killer, che avrebbe ucciso materialmente Rostagno, fu assolto “per non aver commesso il fatto” nel febbraio 2018 dai giudici della Corte d’appello d’assise di Palermo, che confermarono l’ergastolo per il boss.
«Ci riteniamo soddisfatti perché è stata confermata la sentenza di ergastolo per Vincenzo Virga, ma non possiamo certo essere contenti che non è stato accolto il ricorso per Vito Mazzara. Ma la cosa importante è che l’associazione mafiosa è stata riconosciuta responsabile dell’omicidio tramite Vincenzo Virga».
Lo ha detto all’Adnkronos il magistrato Nico Gozzo, che aveva rappresentato l’accusa nel processo d’appello per l’omicidio di Mauro Rostagno.
E sui 32 anni di tempo trascorsi per avere una sentenza definitiva, Gozzo dice: «E’ un omicidio estremamente complesso e soprattutto in cui hanno agito una serie di interessi ulteriori che sono stati riconosciuti dalla sentenza di primo grado e che non sono stati negati dalla sentenza di secondo grado». E ribadisce che il magistrato «ha grande rispetto per la decisione della Cassazione».
«E’ importante che sia stato confermato il contesto mafioso dell’omicidio ma è un peccato che resti un vuoto sugli esecutori materiali del delitto». Lo afferma l’avvocato Fausto Maria Amato, legale di Elisabetta Roveri e Maddalena Rostagno, compagna e figlia di Mauro Rostagno, commentando la sentenza della Cassazione sul processo per l’omicidio del giornalista e sociologo ucciso a Lenzi (TP) il 26 settembre del 1988.
«Provo amarezza, sì, per questa sentenza della Cassazione. Perché per l’omicidio di mio padre c’è un mandante, ma non c’è un esecutore materiale. Non c’è il nome del killer che ha sparato». Non solo. «Per anni e anni ci sono stati depistaggi, ricordo che nel processo di primo grado sono venute fuori cose davvero imbarazzanti di cui non ero mai venuta a conoscenza».
Maddalena Rostagno ha atteso per anni questo momento. La parola fine sul processo per l’omicidio del padre, il sociologo Mauro Rostagno, ammazzato da Cosa nostra il 26 settembre del 1988 vicino Trapani. Ma si dice “amareggiata”. «Vuole sapere come mi sento? – dice in una intervista esclusiva all’Adnkronos – c’è un po’ di amarezza. C’è un uomo che viene assassinato, mi arrestano la madre, dicono che sono stati 4 tossicodipendenti della comunità, mandando anche un messaggio che essere tossici significa anche essere assassini. Che mio padre per una roba del genere sarebbe risorto, contrario alla sua filosofia di vita. Poi c’è stato un colpo di fortuna, con la Squadra mobile di Trapani, per cui è stata fatta una comparazione di proiettili ed è emerso il nome di Vito Mazzara».
In primo grado la Corte d’assise di Trapani aveva condannato entrambi gli imputati, Vincenzo Virga come mandante e Vito Mazzara come esecutore materiale. «Il Presidente della Corte d’assise Angelo Pellino mi aveva restituito in parte la fiducia nel sistema giudiziario», dice Maddalena Rostagno. Anche per i giudici di primo grado a impugnare il fucile, spezzato dalle esplosioni, sarebbe stato Vito Mazzara, capomafia di Valderice. Sembravano portare a lui e a un suo parente biologico non identificato le tracce di Dna ritrovate nell’arma, ecco perché gli era stato inflitto all’ergastolo. La condanna si aggiungeva a un altro ergastolo per l’uccisione nel 1995 dell’agente di custodia Giuseppe Montalto. Ma in appello, la corte d’assise d’appello, dopo aver acquisito un manuale dei criteri di interpretazione delle tracce di Dna, ha optato per l’assoluzione ribaltando il giudizio di primo grado. Sentenza confermata stasera dalla Cassazione. «Lasciamo stare la perizia del Dna- dice Maddalena Rostagno – ma se tu mi ricostruisci il contesto nel quale mio padre è stato assassinato, e condanni all’ergastolo il capomafia di allora, poi mi assolvi il suo esecutore materiale? Ok». «Il nostro scopo, quello mio e di mia madre, non era certo quello di ottenere l’ergastolo, non era quello il punto. Io sono anche contraria», dice ancora la figlia di Rostagno.
E ricorda i «22 anni di depistaggi, in primo grado sono venute fuori cose imbarazzanti. Molte cose le sapevo, alcune cose non le avevo mai pensate. Io non faccio l’avvocato né la giornalista, ho iniziato a leggere libri di mafia solo dopo l’omicidio per celebrare il mio dolore». E ricorda:« Il primo depistaggio fu quello di spostare il corpo di Mauro. I carabinieri fecero spostare il corpo di mio padre. Già durante il processo di primo grado si scopri che quell’uomo che aveva chiamato, il signore che viveva in una casa vicino alla curva, è stato sentito solo dopo 25 anni». Al momento una decina di persone è al processo a Trapani per falsa testimonianza.
Poi, Maddalena Rostagno ribadisce ancora che nell’omicidio del padre « c’è stato un mandante ma non c’è un esecutore». «Le sentenze ci sono. Saranno gli storici a raccontare questa vicenda – dice – Ci sono gli studi sul Dna, che io ho fatto mettere sul sito dedicato al processo». «Prendo atto della decisione -dice ancora la figlia di Rostagno che non ha mai perso un’udienza – e me ne faccio una ragione». Poi, Maddalena ribadisce quanto detto oggi dal suo legale, l’avvocato Fausto Maria Amato durante la discussione davanti ai giudici della Cassazione: «Noi non ci siamo costituiti
parte civile per portarci a casa dei soldi, non è questa la questione. Noi volevamo portare a casa tutta la verità, quanta più verità possibile».
Maddalena Rostagno spiega anche che la Corte di Cassazione ha confermato la “matrice mafiosa” dell’omicidio del sociologo. «Ho fatto questa lunga battaglia principalmente per mio figlio che oggi ha 17 anni e finalmente non leggerà più le porcherie che leggeva su Facebook, tutte quelle angherie. Ricordo anche che mia madre venne arrestata quando io avevo 22 anni. Suo nonno è morto consapevole di quello che stava facendo. Il fatto che non abbia potuto conoscere il nipote rimarrà il mio dolore più grande»
Maddalena Rostagno ricorda anche il forte legame tra Mauro Rostagno e la città di Trapani. «Ci teneva molto a quella città», dice. «Un uomo che è scappato dalla sua città ed è andato all’università dove ha studiato sociologia, tutto in virtù della libertà dell’individuo», dice. «Poi è arrivato in Sicilia – dice – dove si è scontrato con un muro di omertà. Stiamo parlando dell’88 quando Trapani era percepita in un certo modo».
Ma Maddalena è più amareggiata o delusa per questa sentenza? «Io c’ero in quell’aula quando i periti del Tribunale presentarono i risultati della perizia – dice – erano credibili. Poi arrivò anche un docente toscano. Il punto non è l’ergastolo al killer, perché era già in carcere. Ma il punto è che il killer che ha sparato a mio padre non c’è. Ecco, questo lascia molta amarezza»