46 arresti, due dei quali ai domiciliari, e sequestri preventivi tra Trapani, Catania, Messina e Rimini,per i reati di associazione mafiosa, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.
E’ questo il risultato dell’operazione antimafia denominata “Jungo” che questa mattina ha visto i carabinieri del Comando provinciale di Catania eseguire i provvedimenti restrittivi, emessi dal gip su richiesta della Procura distrettuale di Catania.
E’ stato così disarticolando il clan Brunetto di Giarre, legato a Cosa nostra rappresentata dalla famiglia Santapaola-Ercolano, egemone in gran parte dell’area Ionica dell’area Etnea.
In provincia di Trapani finisce in manette Alfio Torrisi, 34 anni, nato a Catania e operante a Campobello di Mazara.
L’operazione ha permesso di sequestrare 40 kg di marijuana, 2,5 kg di cocaina, 200 grammi di eroina, 25 grammi hashish, un fucile e 4 pistole oltre 218 munizioni.
I provvedimenti odierni sono il frutto di complessa indagine condotta dalla Compagnia Carabinieri di Giarre dal 2017 al 2018, mediante attività tecniche e dinamiche, ulteriormente riscontrate da dichiarazioni di più collaboratori di giustizia.
Un lavoro che ha consentito di individuare e colpire con provvedimento restrittivo della custodia cautelare in carcere, la frangia locale del sodalizio mafioso ’Brunetto’ articolazione della famiglia mafiosa catanese, Santapaola-Ercolano egemone nel territorio di Giarre, Mascali, Fiumefreddo di Sicilia, Castiglione di Sicilia, nonché una figura di spicco della medesima famiglia mafiosa operante nel quartiere Picanello di Catania ed in rapporti con la predetta articolazione.
Grazie all’operazione ’Jungo’ si è potuto definire la struttura, le posizioni di vertice e i ruoli degli indagati in un’associazione armata finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti che conduceva una ’piazza di spaccio’ sita nel quartiere popolare ’Jungo’ di Giarre, attribuirne la gestione ad affiliati alla famiglia mafiosa ’Brunetto-Santapaola’, ricostruire le modalità di turnazione fra vari pusher, il loro compenso, il mantenimento alle loro famiglie qualora detenuti, i canali di approvvigionamento di ingenti quantità delle varie sostanze e i relativi luoghi di occultamento.
Il gruppo criminale sottoponeva più esercenti ad estorsioni mediante intimidazioni mafiose, riscuoteva crediti legati agli stupefacenti mediante pestaggi e puniva coloro che si rifiutavano di spacciare o rapinare per conto del sodalizio criminoso. L’indagine e’ stata avviata per individuare coloro che a vario titolo operavano in una piazza di spaccio di sostanze stupefacenti di vario genere situata nel quartiere popolare ’Jungo’ di Giarre, attiva 24 ore su 24, grazie ai diversi turni di numerosi pusher, nel corso delle indagini venivano poi identificati altri indagati che si occupavano dell’approvvigionamento delle sostanze, di occultarle, confezionarle e rifornire regolarmente gli spacciatori al dettaglio.
L’incasso giornaliero della piazza era quantificabile in diverse migliaia di euro al giorno. I quartieri popolari permettevano così di usufruire di un collaudato sistema di vedette, numerose e varie vie di fuga, un gran numero di nascondigli per le dosi e costituiva per i tossicodipendenti una sorta di punto stabile di approvvigionamento, comportando una vera e propria ’fidelizzazione’ dei consumatori. Il sodalizio finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, nonostante nel corso delle indagini fossero stati operati degli arresti in flagranza di pusher o il sequestro in rilevanti quantità di droghe, riusciva in breve tempo a riorganizzarsi e proseguire nelle attività illecite.
La direzione e gestione della piazza era riconducibile alla famiglia Andò, capeggiata da Giuseppe, soprannominato ’U cinisi’ (il cinese), 59enne venditore ambulante nella frazione giarrese di Trepunti, il quale, unitamente a figli e nipoti, si occupava di tutti gli aspetti del mercato illecito, finanche di reclutare i pusher spesso giovani residenti nel quartiere Jungo. La collocazione del suo camion non era casuale, poiché gli permetteva di controllare i
movimenti delle pattuglie nel primo e più importante incrocio cittadino dopo l’uscita autostradale e fungeva da base per incontrare altri sodali, fornitori di stupefacenti, creditori, membri di altri clan o per convocare pusher ’indisciplinati’ nei turni e punirli con
detrazioni dello stipendio, quest’ultimo corrispondente a circa 250 euro a settimana.
Qualora il pusher fosse stato arrestato, il sodalizio avrebbe provveduto a pagare il cosiddetto ’mantenimento’ alla sua famiglia, fra cui le spese legali, salvo poi entrare in crisi a causa dei numerosi arresti, come affermato da uno degli organizzatori: “appena arrestano un altro è finita…vediamo ste persone come si devono campare, perché poi chi viene qui sotto a lavorare? Nessuno!“.
Giuseppe Andò, soprannominato ’U cinisi’, è inoltre emerso essere il referente pro tempore del clan ’Brunetto-Santapaola’ su Giarre, stante la detenzione di Pietro Oliveri, detto ’Carmeluccio’ quest’ultimo considerato indiscusso erede del defunto boss Paolo Brunetto. ’U cinisi’, secondo quanto evidenziato dalle indagini, risultava recepire da ’Carmeluccio’ le indicazioni sulla gestione degli affiliati e sul mantenimento dei detenuti e delle rispettive famiglie.