Il vortice dell’inchiesta Sorella Sanità che a maggio scorso fece scandalo all’interno della Sanità siciliana portando, da Palermo a Trapani, agli arresti i vertici, colpevoli, secondo l’accusa, di pilotare appalti e incassarne tangenti fino ad un 5%, non si placa e, risucchia anche Vincenzo Li Calzi, 45 anni, del quale la procura di Palermo aveva chiesto l’arresto nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti della sanità siciliana.
Li Calzi era il cassiere degli incassi illeciti per un totale pari a circa 600 milioni di euro che la Guardia di Finanza aveva bloccato con avvisi di garanzia per 12 persone indagate a vario titolo per corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti.
Ma soprattutto era «un fidato collaboratore di Salvatore Manganaro, figura centrale nell’inchiesta denominata “Sorella Sanità” ma il Gip aveva ritenuto opportuno respingere la richiesta di arresto». Li Calzi, affermano i magistrati, avrebbe svolto il delicato compito di «”contabile delle tangenti” per conto di Manganaro, del quale era prestanome per le principali società di comodo e per il trust nei quali confluivano le ricchezze illecitamente accumulate».
Il Tribunale del Riesame ha accolto la richiesta dei pm formulando per lui il reato di corruzione propria aggravata, in concorso con l’ex direttore dell’Asp di Trapani Damiani e lo stesso Manganaro in relazione all’aggiudicazione di due gare d’appalto, bandite una dall’Asp 6 di Palermo e l’altra dalla centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana, relative alla manutenzione di apparecchiature elettromedicali.
Gli arresti domiciliari sono scattati a seguito dell’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione del 14 dicembre 2020, che ha sancito l’inammissibilità del ricorso promosso dal Li Calzi, difeso dall’avvocato Angela Porcello, contro il provvedimento del Tribunale del Riesame.
Diventano nove quindi le persone che finiscono agli arresti in questa vicenda dai contorni sempre più intrecciati. Nomi che, all’interno del settore, contavano, e che finirono in carcere come il dirigente dell’Asp di Trapani, Fabio Damiani, trasferito subito al Pagliarelli insieme al suo faccendiere, Manganaro ma oggi entrambi ai domiciliari dopo aver confessato.
Da sempre ai domiciliari, invece, l’ex commissario anti-covid della Regione Sicilia, Antonio Candela, ed il suo traffichino Taibbi. Secondo le accuse, pare che Candela avesse accettato la promessa di denaro da parte di F. Z. e Rol. S., amministratore delegato della Tecnologie Sanitarie Spa il primo e responsabile operativo della Tecnologie Sanitarie Spa il secondo, anch’essi implicati nell’inchiesta e ai domiciliari insieme ad altri imprenditori: A. M., responsabile operativo per la Sicilia di Siram Spa e amministratore delegato di Sei Energia scarl; C. D. S., direttore unità business centro sud di Siram Spa; I. T., referente occulto di Fer.Co. srl; S. N., Presidente del consiglio di amministrazione di PFE Spa.
Dopo lo scandalo di maggio tutti si avvalsero della facoltà di non rispondere in particolar modo Damiani, a capo insieme a Candela, secondo quanto si apprenderà in seguito, almeno in un primo momento, della stanza dei bottoni.
Il primo a far crollare il muro del silenzio sarà, dopo quasi due mesi di galera, proprio il faccendiere di Damiani, Salvatore Manganaro, che a luglio ne diventa l’accusatore confessando di avere incassato una tangente da 100 mila euro, pagata dal dirigente Siram, dividendola con l’ex direttore generale dell’Asp di Trapani Fabio Damiani. Questa insieme ad altre confessioni (per le quali ad ottobre verranno sequestrate 7 società intestate a prestanome ma di fatto riconducibili a lui: Medical System Srl, Easy Spine srl, Mh Investiment srls, Datamed srls, Healthcare Innovation, Greensolution srl ed Mh Investiments) gli servirà a guadagnarsi i domiciliari e una condanna relativamente mite a patto di restituire, anche, un milione di euro, corrispondente proprio all’importo delle mazzette ricevute con l’ex manager Damiani che, proprio dal Pagliarelli, scriverà in sua difesa una lettera ai magistrati titolari dell’inchiesta.
Le parole scritte da Damiani scotteranno sulla scrivania che le riceverà tanto da aprire un nuovo fascicolo d’inchiesta parallelo a quella in corso.
Una lettera con nomi e cognomi di una politica vecchia e nuova capace di imporre cariche e incarichi per acquisire consensi elettorali. Un sistema opprimente, scrive Damiani, che, per dieci anni, ordinava lasciando poco margine d’azione e di libertà. Lui che da maggio guardava il mondo a strisce e che aveva perso tutto, ora non aveva più nulla da perdere ma non poteva pagare per tutti. Dalla sua cella i ricordi sugli incontri, gli episodi le nomine, gli scontri per gli incarichi affioravano nitidi e a fiume si trasferivano sulla carta che di pugno, in un colpo solo, nero su bianco erano pronti a far scoppiare un nuovo caso che, al momento, rimane top secret.
Un Natale in galera sarebbe stato troppo anche per uno come Damiani che, nel trapanese, appropriandosi di tangenti da 50 mila euro, vantava di aver gestito la prima ondata dell’emergenza covid e che aveva tenuto la bocca chiusa per 7 mesi di cella.
Mantibole serrate che tra il 20 ed il 26 novembre scorsi (queste le date dei verbali) si sono allentate per rendere dichiarazioni al procuratore aggiunto Sergio Demontis e ai sostituti Giovanni Antoci e Giacomo Brandini, titolari dell’inchiesta ammettendo di avere intascato tangenti per favorire alcune società nell’aggiudicazione di appalti pubblici milionari.
Dichiarazioni importanti che pesano all’interno di un fascicolo già carico di materiale esplosivo e pronto a far scoppiare un’altra bomba dopo quella esplosa a maggio con l’inchiesta “Sorella Sanità” delle fiamme gialle.
Damiani, intanto, con la confessione, “guadagna” i domiciliari, (dal 4 dicembre), per decisione del Gip Clelia Maltese, dopo aver accolto la richiesta degli avvocati dell’ex direttore generale dell’Asp trapanese, Sergio Monaco ed Enzo Zummo.
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