Era stato di un milione e 200 mila euro il risarcimento deciso dalla corte d’appello di Palermo nei confronti dell’ASP di Trapani per la morte di una paziente avvenuta all’ospedale di Pantelleria nel 2007
In primo grado, era stata anticipata una provvisionale di 472 mila euro dovevano quindi esserne versati ancora 728 mila per adempiere al risarcimento. La Corte d’appello di Palermo nel 2014 , però, ha riformato la sentenza, portando il risarcimento complessivo a 1,2 milioni di euro, somma che l’azienda sanitaria pagò senza detrarre quanto già versato alla famiglia della paziente deceduta. Da qui la contestazione del danno erariale.
I giudici della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della Regione siciliana hanno condannato Michele De Maria, dirigente dell’ufficio affari legali e contenzioso dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani, e Fabrizio De Nicola, ex direttore generale dell’Asp, a risarcire l’azienda sanitaria di circa 330mila euro (207mila euro De Maria e 129mila euro De Nicola).
Per i giudici contabili entrambi i dirigenti, «agendo ciascuno nell’esercizio delle funzioni di propria competenza», hanno avuto «un ruolo attivo e determinante nella emanazione del suddetto provvedimento, fonte diretta del danno, atteso che, nel dare esecuzione alla riferita sentenza della Corte d’Appello di Palermo, veniva liquidata, e poi pagata, una cifra evidentemente esorbitante rispetto a quella effettivamente dovuta, determinando, in tal modo, un indebito esborso di denaro, nonostante fosse chiaro che con precedente deliberazione l’amministrazione aveva già liquidato e pagato le somme cui era stata condannata in primo grado».
De Nicola, si legge nella sentenza, «ha trascurato, senza neppure chiedere approfondimenti al riguardo, che l’atto sottoposto al suo esame determinava una grossolana duplicazione di spesa, circostanza che risultava dalle stesse premesse dell’atto in maniera evidente».
Allo stesso modo De Maria, quale responsabile del procedimento e dirigente del servizio legale «non può sfuggire all’addebito di responsabilità» perché «non poteva non accorgersi che detta proposta conteneva una liquidazione esorbitante in ragione del fatto che parte della somma riconosciuta nella sentenza d’Appello era già stata pagata agli appellanti in esecuzione della sentenza di primo grado, e quindi che sussisteva un evidente differenza tra quanto proposto e quanto effettivamente spettante ai soggetti beneficiari. L’avvenuta liquidazione di una parte del danno era informazione facilmente riscontrabile dalla semplice lettura degli atti istruttori e della stessa proposta e, pertanto, non poteva sfuggire al dirigente avvocato dell’Asp quale proponente».
Insomma, secondo i giudici contabili, De Maria e De Nicola hanno avuto «parte nella causazione del danno con le rispettive condotte, per avere trascurato, con inescusabile negligenza, ciascuno nell’ambito dell’esercizio delle proprie competenze – ossia De Maria nel proporre, senza avere debitamente governato l’istruttoria e De Nicola nell’assumere il provvedimento di liquidazione della somma riconosciuta dalla Corte d’Appello a favore degli aventi diritto del paziente deceduto – che l’Azienda stessa aveva già versato agli aventi diritto sulla base della sentenza di primo grado del Tribunale di Marsala».